Adriano Fida: Vedere è Sentire

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Critica di Luigi Tallarico
La poetica di Adriano Fida si basa sul fondamento ideologico che la forma debba esprimere, attraverso l'immagine, tutte le manifestazioni peculiari dell'artista, siano esse dettate dalla natura lirica o conoscitiva, lineare o costruttiva, significante o di significato, nell'intento di collegare il linguaggio ai valori comparativi dei suoi contrari.

E questo perché Adriano Fida nella felice "operazione dì mano" (l'espressione risale al '300 ed appartiene al Cennini, come l'altra oggi super-citata: "II fare precede l'imitare"), mostra una capacità disegnativa di grande spessore, come è stato più volte rilevato dalla critica, in quanto dominata dal principio di ragione e dal rigore limitare del segno, che conferisce alle opere un equilibrio rispetto al predominio di una delle manifestazioni legate ai contrari.

Invero l'artista calabrese, pur essendo portato ad evidenziare in maniera preminente gli "stati di apparenza" tersi e concreti, non esclude le potenziali emotività sottese negli stati d'animo di uomini e di mondi disturbati, perché consapevole che la concretezza espositiva, come il principio di ragione, non spiega le cadute esistenziali. Senonché l'artista, nonostante il suo rigoroso principio selettivo, basato sulla priorità della logica razionale, lascia trasparire sotto traccia della pittura, e anche in termini extra-pittorici, alcune allusioni ai turbamenti che l'uomo interiore di solito è portato a trattenere in sé e che l'artista dedito alle forme classiche non li ostenta sulla tela.

E così Adriano Fida tra gli "stati di apparenza" increspa il tessuto pittorico e delinea uno "stato di lussuria", così definito dall'artista, attraverso i segni fisionomici di alcune figure disturbate, provvedendo però a dichiarare nei cartigli e nei distici illustrativi che egli non ha inteso mostrare pittoricamente la "follia", ma piuttosto (e questo in termini extra-pittorici) " il folle mondo di logica che ha reso pazze queste
normali persone". La follia è nel mondo e l'arte non accetta, con gli stereotipi dell"homo psychogicus", le espressioni concitate di una storia che si fa sovra-realtà.

D'altra parte l'artista, che non vive in un mondo iperuranio, appare attentissimo a quello che avviene nel mondo e pur citando gli atti addebitabili alla storia ("guerra lampo", "bombardamenti intelligenti", "follia del mondo", più che dei "disagiatipsichici"), è consapevole che l'agitazione del mondo ha un suo "principio d'ordine", una originaria forza ordinatrice, ancorché drammatica negli intenti. E così l'artista, pur lasciando indenni le forme dell'opera, dal momento che il reale come il caos fanno parte della vita e della storia, scopre che la nuova legge è la luce che erompe, come già il Barocco aveva indicato, dagli "estremi limiti del caos", invadendo lo spazio.

Non è la luce fisica e naturale, quella di cui parlano i fisici e nemmeno quella che ha tentato i mistici, bensì il principio ordinatore dell'arte, per cui l'"operazione di mano" di Fida si sposta dal vedere al sentire, nella consapevolezza che van Gogh avesse sentito dentro di sé "le foglie gialle cadere", senza vederle. Anche se l'artista sembrerebbe interessato a far vedere la cosa in sé (il "limone" diventa protagonista e il suo ritratto di belle fattezze sembra voler contestare alla psicologia la sua indifferenza per la bellezza, come rilevato da James Hillman), in effetti la sua chiarezza è fatta di luce-colore e pertanto non registra i segni "altri", legati cripticamente alla regressione formale dell'oggetto, perché estranei al principio ordinatore della sua complessiva vis creativa.

D'altronde gli oggetti protagonisti delle composizioni sono posti in primo piano e avvertono l’infinità degli spazi-luce in cui sono avvolti e con cui gareggiano nell'atto di sbilanciare la centralità e la staticità del mondo in spinte e controspinte, fino al limitare della tela. Soprattutto il colore che è luce ed è timbro, perché portatore di emozioni e di animazioni complesse, è come il suono della musica, che fa sentire
quello che non si vede. Sicché gli oggetti posti tra le pieghe barocche e i tagli dei teli, divisi dagli assi asimmetrici, avvertono i toni che deperiscono e che vibrano in dipendenza delle esigenze dell'arte e non più del protagonismo oggettivo della figura.

In verità, dalla crisi del Rinascimento all'età del Barocco, secondo il rilievo dello storico Dino Formaggio, "il problema della luce come essenza ed artisticità" e, aggiungiamo, come movimento, è stato ed è il "tentativo di dar vita, sull'ormai sopravvenuta stanchezza degli schemi classici, ad una nuova arte più viva, più potentemente espressiva, infine più propriamente e liberamente arte". Come si vede, dopo il Barocco e il Futurismo, il "tentativo" (riuscito in Fida) continua.

LUIGI TALLARICO